M. Ester González ci racconta la traiettoria artistica della scultrice cilena scomparsa il 14 maggio 1929
Sono passati esattamente 93 anni da quando, nel piccolo comune toscano di Fiesole, la scultrice cilena lasciava per sempre la serenità di questi paraggi, ereditandoci la sua incalcolabile opera.
Nata in una famiglia aristocratica, figlia unica, il cui padre essendo diplomatico, le permette l’accesso a luoghi e ambienti difficilmente approdati dalle donne del tempo. Augusto Matte, diventa il suo protettore e mecenate.
L’ artista nacque il 29 ottobre 1875 a Santiago del Cile. Sua madre sviluppa una malattia mentale per cui la piccola Rebeca, crescerà tra le braccia della nonna materna, Rosario Reyes. Questa importante donna, la fa partecipare a incontri che riuniscono il circolo intellettuale del grande Santiago. Quei primi anni di incontri e nuove conoscenze forgiano la sua personalità futura.
Dopo la morte della sua cara nonna, si stabilisce a Parigi, si reca a Roma, Berlino, ovunque il lavoro del padre lo richieda, fino a stabilirsi definitivamente in un piccolo paese della Toscana chiamato Fiesole. Lì vive anni intensi, di entusiasmanti riconoscimenti e anche di grandi perdite. A Villa La Torrossa trascorrerà i suoi ultimi giorni.

A Parigi, accede all’Accademia privata Julian, dove frequenta corsi di nudo dal vivo, cosa inconcepibile per una donna nel contesto tradizionalista cileno. È qui che incontra i grandi scultori Denys Puech ed Ernest Dubois, maestri che segneranno il suo stile con il dramma e l’espressione in voga in quegli anni, che l’aiuteranno a trasmettere forse le proprie tribolazioni, impregnandone i materiali nobili con i quali lavora le sue opere.
A soli 25 anni viene selezionata per unanimità per partecipare al Salone di Parigi del 1900. La sua opera “Militza” (1900) le apre le porte di questo grande evento espositivo internazionale. La sua scultura è altamente drammatica, ispirata all’opera teatrale dello scrittore francese Francois Coppée “Pour La Couronne”. Oggi questa opera marmorea si trova al Museo de Arte y Artesanía di Linares, Cile.

Nel 1901 Rebeca si sposa a Parigi e dall’unione con Pedro Felipe Iñiguez, arriva la sua amata e unica figlia María Eleonora (Lily) nel 1902, questo le fece rallentare la sua produzione per dedicarsi a sua figlia. Torna in Cile per alcuni anni sentendo presto l’urgenza di tornare nella sua amata Italia.
Tale è l’amore che la lega al bel Paese che, in via testamentaria, dona alcune sue opere al Comune di Firenze. Così, è con orgoglio, che oggi possiamo vedere esposta in uno dei musei più famosi d’Europa, come la Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, la “Derelitta” (1908), una scultura in marmo che ritrae una donna nuda, in posizione fetale.

La scultrice oggi ci colpisce per la sua sensibilità e talento artistico che, fortificata nella sua villa vicino a Firenze, produsse grandi opere che la sottraggono involontariamente dall’anonimato, come ricorda la figlia Lily nel suo diario: “Grandi e famosi artisti sono rimasti stupiti di vedere che una donna così fragile e minuta potesse fare qualcosa di così forte; ma, come ha detto uno degli articoli in suo onore, “grande è l’audacia, ma l’artista è più grande dell’audacia stessa”…
Donna altruista, pioniera, apparentemente delicata, ma se si approfondisce la sua vita, ha poco di fragilità, poiché ha al suo attivo le più grandi riconoscimenti che una donna del suo tempo potrebbe ricevere: prima donna non europea a ricevere il titolo di Docente Ad Honorem all’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze nel 1917. Non solo il suo talento la fa meritevole di questa investitura, ma anche il suo altruismo, perché in mezzo alla guerra, povertà e morte che si vivevano giorno dopo giorno, viene creato un fondo di beneficenza per le famiglie e gli artisti colpiti dalla guerra. Così Rebeca dona un’opera all’accademia affinché, col ricavo di essa, si potesse ottenere denaro per contribuire a questo fondo “pro-artisti”.
Per molto tempo questa grande artista è rimasta in un silenzioso letargo di oblio, ma lei aveva tanto da dire ancora e la sua voce ci arriva dalla Toscana. Dall’anonimato che l’ha sempre caratterizzata, un’altra volta sono le sue opere ad alzare la voce per lei.
Attraverso un arduo lavoro di ricerca, che si estende dal 2014 ad oggi, ho confrontato diverse personalità dell’ambiente della scultrice, visitato luoghi per approfondire le sue esperienze, per capire cosa ha fatto innamorare i suoi occhi e l’ha motivata a rimanere in quella terra lontana, aiutandomi così a delineare il profilo dell’enigmatica figura della scultrice cilena.
È così che il 23 aprile 2018, giorno della consultazione dei documenti a Palazzo Pitti, ho trovato il documento di donazione testamentaria dell’artista alla città di Firenze. La ricerca sulla scultrice diventa difficile poiché il suo nome italianizzato fa perdere le sue tracce. Uno di questi documenti rivela informazioni estremamente importanti, che mi portano a visitare il Museo Stibbert, lontano dal centro della città toscana. Passeggiando per i suoi splendidi giardini la incontro, “Une Vie” (Una vita), scultura data come “dispersa”.
L’emozione è grande e il pudore della coscienza di svelare una parte che è stata taciuta così a lungo, mi lascia attonita. “Une Vie” è, finora, un “unicum”, perché accanto alla firma si legge la data di esecuzione “1913”, finora l’unico marmo con questa caratteristica.

L’anno 1913 è particolarmente doloroso per l’artista poiché muore suo padre, perdendo uno dei sostegni più importanti della sua vita. Ecco perché questa scultura è ancora più importante e carica de emozioni.
In questo lavoro Rebeca trova finalmente il modo di mostrare ciò che ha dentro, ciò che non può urlare, ciò che la soffoca, catturando nel marmo le sue parole e le sue emozioni.
Questa significativa opera ha i classici lineamenti, sensibilità che sicuramente ha rafforzato il suo grande maestro Giulio Monteverde nel periodo trascorso a Roma seguendo le sue lezioni.
Une Vie, rappresenta una donna adulta che, consapevole di chi è, non ha remore a mostrarsi completamente naturale, nuda, come la vita l’ha plasmata e che senza paura, può mostrare la sua verità. Come scrisse lo scrittore Guy De Maupassant nel suo libro “Une Vie”, da cui l’artista si sarebbe ispirata, la protagonista soffocata dalla tradizionale vita famigliare e pregiudiziosa società si spoglia di tutto, anche della sua dignità per trattenere, senza successo, gli amori che riempiono l’esistenza; l’egoistico amore di suo marito e poi l’amore interessato di suo figlio. Le due opere, il romanzo e la scultura, sono cariche di forti emozioni, perdite e distacchi.
Ma una grande tragedia che pone fine alla sua carriera di scultrice: la morte dell’amata figlia Lily. In un sanatorio di Davos, Svizzera, la giovane, malata di tubercolosi, perde la battaglia a soli 24 anni.
Di fronte a questa irreparabile perdita, si reca in Cile, dove in memoria della madre che conosceva appena e della amata figlia, crea la “Fondazione Lily Iñiguez Los Nidos“, che aiuta le ragazze in situazioni di rischio sociale. Successivamente si occupa della pubblicazione del diario di vita di Lily, scritto dall’età di 11 anni fino a poco prima della sua morte, “Páginas de un diario”.
Nel febbraio del 1929 torna nuovamente a La Torrossa, e dopo 3 anni dalla perdita della figlia, il 14 maggio alle 17:30 Rebeca Matte Bello di 53 anni, esala il suo ultimo respiro, ricuperando finalmente la tranquillità del suo tribolato cuore.
Link utili:
Palabra pública: articolo di M. Ester González su Rebeca Matte – leggi qui
Meer: articolo di M. Ester González su Rebeca Matte leggi qui