Fine e inizio anno con Il Dinosauro

Articolo di Eugenio Marrón Casanova del 31 dicembre 2021 pubblicato su Radio Angulo e riproposto nel portale informativo La Ventana di Casa de las Américas

Traduzione di Marcela Ivonne Schiaffini – Revisione di Sabrina Pino

“Senza mettermi sulle punte, arrivo facilmente a un metro e sessanta. Ero piccolo già da piccolo”, gli piaceva dichiarare con quell’umorismo che lo caratterizzava. Nacque a Tegucigalpa il 21 dicembre del 1921, figlio  di padre guatemalteco e madre honduregna, ma trascorse  infanzia, adolescenza e i primi anni della gioventù nella patria paterna, da dove nel settembre del 1944, issò le vele o spiccò il volo – a seconda della metafora che si consideri più calzante per un lignaggio di così leggendaria specie -, e dopo la fine della dittatura del generale Jorge Ubico fuggì di prigione diretto verso terre messicane.

Un mese dopo, col trionfo della rivoluzione guidata da Jacobo Arbenz, inizia a lavorare come diplomatico nel Consolato guatemalteco dove esercita fino al 1954. Successivamente, quando viene rovesciato il governo di allora, decide di trasferirsi in Cile dove diventerà il segretario di Pablo Neruda. Torna in Messico nel 1956 e stabilisce lì quella che sarà la sua residenza definitiva per tutta la vita: lo scrittore inizia quindi a farsi conoscere ampiamente un lontano giorno del 1959 quando la UNAM Ediciones (Universidad Nacional Autónoma de México) pubblica il suo primo libro, Opere complete (e altri racconti).

Contrariamente a quanto qualunque lettore potesse aspettarsi, non si trattava di un volume con “tutti” gli scritti dell’autore, – dall’esordio più un’altra manciata -: il titolo di una delle opere – l’ultima – era infatti proprio Opere complete, per cui la burla, sagace quanto intrepida, era servita. E anche la quantità di racconti non poteva essere più eloquente: tredici, il numero dei cieli nella mitologia azteca e dei giorni in cui venivano divisi i periodi del calendario lunare mesoamericano. Ma, soprattutto, a metà delle sue poco più di centotrenta pagine, c’era un racconto destinato a diventare un classico, di una sola frase o se si preferisce di una sola riga:

“Cuando despertó, el dinosaurio todavía estaba allí”.

Quando si risvegliò, il dinosauro era ancora lì”. [1]

Da quel momento e fino al 7 febbraio del 2003, data del suo viaggio finale verso qualche luogo nella luce, il titolo di quell’opera, “Il Dinosauro”, diventerà il suo passaporto per eccellenza nella letteratura, senza dimenticare che lo accompagnano dodici narrazioni brevi e concise, impeccabili e cristalline, vivaci e sottili: l’inizio della sua leggenda.

Sebbene “Il Dinosauro” sia il racconto più celebre di quel libro inaugurale, è impossibile dimenticarsi di “Mister Taylor”, la storia di un cacciatore di teste nelle profondità amazzoniche; di  “Sinfonia inconclusa”, il ritrovamento di uno spartito di Schubert in una chiesa di periferia in Guatemala; de “L’eclissi”, – un frate davanti ai suoi rapitori aborigeni nel sedicesimo secolo, – oppure de  “Il Centenario” sulle peripezie dello svedese Orest Hanson, l’uomo più alto del mondo alla fine diciannovesimo secolo, solo per citare quattro narrazioni esemplari.

Tutti i libri dello scrittore creano un territorio vastissimo per il piacere di un esploratore audace, sia nel momento della scoperta che del rincontro, perché chi oltrepassa per la prima volta quei confini, senza dubbio tornerà. In questo senso mette in guardia un altro suo memorabile libro, La pecora nera e altre favole (1969) – sia questo che il precedente hanno edizioni cubane promosse dalla Casa de las Américas – quaranta favole che secondo Gabriel García Márquez bisogna leggere senza pensarci due volte: la loro pericolosità si fonda “sulla sapienza subdola e sulla bellezza mortificata della mancanza di serietà”. Un quintetto di lusso lo conferma: “La scimmia che voleva diventare una scrittrice satirica”, “Il saggio che prese il potere”, “La Rana che voleva essere una Rana autentica”, “Sansone e i filistei” e “Il Paradiso imperfetto”, che,  data la sua brevità, scelgo come citazione:

– È vero – disse malinconicamente l’uomo, senza allontanare lo sguardo dalle fiamme che ardevano nel camino in quella notte di inverno – in Paradiso ci sono amici, musica, alcuni libri; peccato solo che dal Cielo il cielo non si veda.[2]

Fra i suoi libri immortali, troviamo anche Moto perpetuo (1972), una raccolta di testi che evitano qualunque classificazione possibile per oscillare tra l’alito del racconto e il piacere del saggio -, dove ha un posto molto speciale “Le mosche”, in cui dichiara che “ci sono tre temi: l’amore, la morte e le mosche. Da quando esiste l’uomo, quel sentimento, quelle presenze lo hanno sempre accompagnato”; e Il resto è silenzio (1978), sulla vita e l’opera “quasi immaginarie” di Eduardo Torres, un Alonso Quijano nella parrocchia centroamericana di San Blas, uno spirito burlone o un saggio di paese in base a come lo si veda, un romanzo ubicabile in qualunque geografia tra El Bravo e la Patagonia.

Altra storia sono La parola magica (1983), una perla per eccellenza, lampo di eleganza dal cuore della lingua spagnola, con sorprendenti e acuti omaggi a autori e generi letterari – da William Shakespeare e Francisco de Quevedo fino a Horacio Quiroga, Ernesto Cardenal e Jorge Luis Borges; dai romanzi sui dittatori e la traduzione letteraria fino ai libri in cui “gli scrittori raccontano la loro vita” – e la sua autobiografia I cercatori d’oro (1993), uno dei più bei resoconti dell’esistenza e, in modo particolare, dell’infanzia dello scrittore. E qual è l’oro che si cerca? si chiederà il lettore. Beh, la magia del linguaggio, dato che la ricerca si dirige permanentemente a quello: così come ha sottolineato lo scrittore messicano Juan Villoro, il libro “non ricrea il passato come è stato, ma come continua a essere”.

È proprio ne I cercatori d’oro che si trovano alcune delle più alte espressioni di dolente e franco splendore quando si tratta di tracciar il ritratto di un padre, autentico lusso verbale di ampia risonanza:

“Era buono. Era debole. Si mangiava le unghie. (…) Usava occhiali rotondi con la montatura metallica e il suo occhio destro era leggermente strabico. Per un certo periodo calzò dei raffinati stivali dall’abbottonatura alta, con delle ghette basse di panno grigio. Era un sentimentale nei confronti dei poveri e voleva trasformare questo mondo in uno più giusto. Data la situazione era naturale che bevesse in eccesso. Si portava continuamente alla bocca manciate di bicarbonato (…) I suoi entusiasmi erano brevi, così come erano lunghe le sue illusioni, che durarono tutta la vita anche se non ne realizzò nemmeno una.[3]

Nel riferirsi all’autore che ispira questo articolo, Villoro segnala che “non ha mai voluto avere uno stile, in ogni libro ha reinventato le sue risorse”. È così. Grazie alla sua opera, la lingua spagnola raggiunge un orizzonte degno dei più audaci ed esperti navigatori. E, finalmente, è chiaro che, nonostante non si sia scritto il suo nome fino ad ora in questo pezzo, Augusto Monterroso è imprescindibile per ricordarci che ogni volta che ci sveglieremo la letteratura sarà lì, nell’anima della lettura. Fine e inizio anno con Il Dinosauro.

[1] L’immaginazione eccentrica. 15 racconti e 2 leggende del Centro America a cura di Héctor Flebes, traduzioni coordinate da Lorenzo Blini e Francesco Fava, Narrámerica, collana creata da IILA diretta da Patricia Rivadeneira, 2009, Edizioni Farenheit 451, Roma, pag. 154-155

[2] A. Monterroso, La pecora nera e altre favole, traduzione di Maria Teresa Marzilla, Sellerio, pag. 64

[3]A. Monterroso, I cercatori d’oro, traduzione di Lia Ogno, Giunti editore, 1995, pag. 75-76-77

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Eugenio Marrón Casanova

Saggista, poeta e scrittore di racconti cubano. Autore, tra gli altri, delle raccolte “El oro de tiempo” (poesía, 2002), “El año del ornitorrinco” (racconti, 2015) e “El sabor del instante” (2017), interviste a 13 grandi rappresentanti della letteratura cubana. Per 18 anni è stato professore di Letteratura alla Facultad de Medios Audiovisuales dell’Universidad de las Artes di Holguín, città in cui vive. Attualmente lavora come editor per Ediciones Holguín.

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E ora un po’ di storytelling e ringraziamenti…

Tradurre quest’articolo si è rivelato un vero lavoro di squadra, quindi mi sembra doveroso fermarmi un minuto e ringraziare tutti coloro che hanno reso possibile questa pubblicazione.

Il primo ringraziamento va senza dubbio a Eugenio Marrón Casanova che si è ritrovato nella casella di posta elettronica la richiesta di una sconosciuta (io) che gli proponeva di tradurre il suo articolo su Monterroso in italiano. Abbiamo imparato in questi tre mesi, quanto sia difficile selezionare e proporre contenuti e che c’è sempre un possibile pericolo che non menzioniamo mai: il rifiuto. Eugenio Marrón non solo si è dimostrato felice della nostra proposta ma ci ha anche regalato delle perle letterarie inedite che speriamo presto di proporre. Ricevere la sua telefonata direttamente da Holguin, Cuba, è stato un onore.

Poi, non c’è un vero ordine di ringraziamento, loro sanno, per cui ho deciso di ringraziarvi in ordine alfabetico (per nome):

Giorgio Zucca: un amico, un fratello di vita e una persona con un entusiasmo contagioso. Vi parlerò prossimamente di tutte le iniziative che porta avanti con l’Associazione Chilenos de Sardigna. Non riuscivo a trovare I cercatori d’oro da nessuna parte, dovevo andare a Roma ma ero ancora in malattia per cui spostarmi era impossibile. Su Ebay erano disponibili alcune copie che sarebbero arrivate troppo in ritardo. Scopro quindi che a Quartu, piccolo comune vicino Cagliari, nella biblioteca comunale c’è proprio una copia del libro. Neanche il tempo di chiederlo che Giorgio aveva già ritirato la copia.

Leo ZeniOssido“: illustratore che le infinite vie del web, click dopo click, mi hanno fatto incontrare. Lo abbiamo contattato per farci illustrare il racconto di Mano de Mithril di Natale e da allora siamo diventate sue fan e credo che dovrà sopportarci per molto. Leo oltre ad essere un eccellente artista mi ha sorpresa e conquistata per la sua capacità di saper interpretare le richieste ma anche di proporre la sua visione dimostrando di avere una profonda sensibilità letteraria. A lui abbiamo dato il difficile compito di illustrare Monterroso e come al solito siamo rimaste a bocca aperta. Grazie Leo! Quando ti nominiamo, noi ovviamente ti chiamiamo Ossido, sappilo. Seguitelo assolutamente: @_Ossido_

Sabrina Pino: dulcis in fundo, LEI. Colei che fin dal primo incontro mi lasciò incantata durante un laboratorio di traduzione. Trovai un giorno il coraggio di scriverle e dirle “adoro il tuo approccio, tutto quello che dici è sempre pertinente e intelligente”. Sabrina è una traduttrice molto più matura e preparata di me. Pazientemente mi revisiona e ogni volta è un arricchimento e confronto superstimolante e costruttivo. Nonché una delle contributrici e sostenitrici del progetto: ci ha creduto sin dal primo giorno. Insieme, grazie a vari allineamenti planetari, affronteremo con un’altra collega un progetto di cui sicuramente vi parleremo più avanti. Non vediamo l’ora!

RomaSantiago nasce per essere un ponte, e credo che questa volta lo sia stato davvero:

Holguin, Cuba

Quartu, Cagliari, Italia

Carrara, Italia

Roma, Italia

Eppoi ci sono io, da Nettuno anche se in realtà vengo da Concepción, Cile.

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Un commento su “Fine e inizio anno con Il Dinosauro

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