Daysi Miller di Michelle Recinos

Racconto vincitore del X Premio Centroamericano de Cuento 2022 della Revista Carátula

Torna RomaSantiago con un progetto che ci sta particolarmente a cuore e che riguarda la nostra unica, vera e inossidabile passione: la traduzione letteraria.

Tra alti e bassi, siamo riuscite finalmente ad avviare questa importante collaborazione con una delle riviste letterarie più prestigiose del mondo hispanohablante: la Revista Carátula.

Ogni anno la Revista Carátula e la Fundación Centroamérica Cuenta, indice un bando che dà alle giovani promesse della letteratura in lingua spagnola e non solo, la possibilità di farsi conoscere e vincere un generoso premio in denaro. Si tratta del Premio de Cuento Centroamericano, destinato ad autori provenienti da paesi del Centroamerica (Honduras, El Salvador, Guatemala, Nicaragua, Costa Rica, Panamá inclusi Belize e Repubblica Domenicana) che non superino i 35 anni di età.

Proprio mentre state per leggere il racconto vincitore dell’ultima edizione, il prossimo 24 marzo si chiuderanno i termini di presentazione per la prossima edizione, l’undicesima. Requisiti fondamentali perché il racconto venga accettato è che sia redatto in una qualsiasi delle lingue ufficiali del Centroamerica, che sia inedito e originale, che non sia stato premiato in precedenza e che non sia in gara in altri concorsi.

Il racconto vincitore dell’undicesima edizione verrà poi proclamato durante il Festival Centroamérica Cuenta, che si svolgerà dal 17 al 21 maggio 2023 a Santo Domingo, Repubblica Domenicana.

Il direttore della Revista Carátula, Daniel Centeno Maldonado, vecchia conoscenza di RomaSantiago (ricordate Jammin’, il bellissimo racconto sul triangolo amoroso Harrison – Boyd – Clapton?), giornalista, scrittore, docente all’università di Houston in Texas, forma parte della giuria insieme allo scrittore Sergio Ramírez e ad altri due scrittori i cui nomi saranno rivelati solo il giorno della premiazione. Insomma, una giuria d’eccezione.

Nato nel 2012, il Premio de Cuento Centroamericano ha come scopo quello di promuovere nella zona dell’Istmo, il genere del racconto breve, tanto caro alla letteratura in lingua spagnola, e dare risonanza a nuove voci e tendenze.

Il racconto vincitore del 2022 che vi andiamo a presentare è un piccolo diamante grezzo, ma di una potenza enorme per il tema trattato, di estrema attualità: la violenza di genere e il femminicidio.

Il direttore Centeno riconosce che questo è stato, di gran lunga, il migliore dei racconti in gara della scorsa edizione e che l’autrice lo ha colpito positivamente per la maturità con cui lo ha sapientemente costruito, segno di grande talento nonostante la giovane età.

A premiare questa giovane promessa, oltre a Sergio Ramírez e Daniel Centeno Maldonado, c’erano anche lo scrittore Rodrigo Blanco Calderón e una delle voci più autorevoli della letteratura cilena attuale: Nona Fernández.

Così si è espressa la giuria nella proclamazione:

“Facendosi portavoce delle grandi preoccupazioni causate dalla violenza storicamente subita dalle donne, questo racconto ci propone una riflessione senza discorsi espliciti, ma con la sola esposizione di scene brutalmente riconoscibili, intrecciate con una scrittura lucida capace di demolirci con la sua proposta. Un’esperienza di lettura commovente e allarmante al tempo stesso”.

Dell’autrice possiamo dire che è nata nel 1997 a El Salvador, è giornalista d’inchiesta e scrittrice. Non ci resta, quindi, che presentarvi Michelle Estefany Recinos Juárez, da El Salvador, e la sua Daysi Miller.

© Vanessa Latartara

Traduzione di Sabrina Pino | Revisione di Marcela Ivonne Schiaffini

La notte, fuori, odorava di solitudine e silenzio. Dentro, di noia e disperazione. Le cose erano cambiate da quando Danilo aveva trovato lavoro in una redazione che gli garantiva uno stipendio tre volte maggiore di quello che aveva preso in diciassette anni di lavoro a controllare, notte dopo notte, che fosse tutto in ordine prima della stampa massiva del giornale . Così, erano rimasti solo Manuelito Vargas e Charly Rojas a capo dell’edizione definitiva. A capo della revisione delle venti pagine con immagini a colori di gente squartata, ammazzata di botte, bruciata e un paio di foto di qualche artista emergente.

E la fortuna di Danilo, che per alcuni era la fortuna tanto desiderata, era toccata a Charly. Era lui che si occupava della sezione L’angelo del giorno, la foto della modella dell’edizione quotidiana: un’immagine in formato poster destinata a decorare officine, autolavaggi, saloni, osterie, bordelli, stanze da single o, semplicemente, attirare il pubblico maschile assetato di sangue e fianchi.

Alle nove di quella sera lunga, secca, noiosa ed esasperante, non c’era ancora l’angelo per il giorno dopo.

«Non lo vedi un po’ rischioso?» chiese Manuelito. L’alito gli puzzava di morte. Le sigarette Modern e il caffè della caffettiera gli davano un’aria che si sposava bene con la sua faccia quadrata, dura e piena di rughe.

«Non se ne accorgeranno nemmeno» gli disse Charly. Aveva trovato, nella cartellina più vecchia della scrivania, la foto di una ragazza dagli occhi color caffè e i capelli lisci fino alla vita. Dire che fosse bella era troppo. Che non fosse niente male, allora.

«Ma la foto è proprio vecchia» disse Manuelito. «E la tipa, giovane…»

«Quando la stampano la fanno più grande, scemo».

«Non in quel senso, scemo. Tanto giovane, direi…Piuttosto piccola. Una bambina, insomma».

Danilo si occupava di cercare, selezionare, scaricare e organizzare le immagini dell’inserto. C’era sempre da dove attingere, ovvio. E il trucco era, aveva detto una volta, riciclare le immagini. Donne di tutti i colori, tutte le razze, tutti i tipi di capelli, tutte le provenienze. Quello che le accomunava erano le misure e l’assenza di vestiti. Questo, e che non avessero identità: alcune erano conosciute, altre, immagini di default, di scorta forse. E del nome, a chi sarebbe importato nel momento di farsi una bella sega?

«Al nome, pensaci tu. Chi se ne fotte, alla fine…»

E, nella casella di testo, Manuelito scrisse, quasi a caso, “Daysi Miller”. Il nome importava, magari, perché c’era stato qualcuno che aveva immaginato che, da qualche parte, qualche persona avrebbe collezionato i poster da officina come figurine. Da allora, l’immagine era sempre accompagnata da una casella di testo con il nome della ragazza, dell’angelo. La brunetta dai fianchi generosi e il bikini bianco, che guardava l’obiettivo con uno sguardo sensuale che non celava molto bene, se uno ci faceva caso attentamente, qualcosa che sembrava paura, l’avevano chiamata Daysi Miller. Nome d’arte, perché di una gringa non ha niente questa mami, pensò Manuelito. Chiusero il numero e andarono farsi un paio di bicchieri al solito bar. Daysi Miller, allora, andò in stampa ventimila volte quella notte.

***

Marito non sapeva perché suo padre ci mettesse così tanto a leggere il giornale tutte le mattine. Per fortuna, pensava, la casa ha due bagni. Anche se lui odiava quello esterno: lo chiamava “la latrina”. Era una stanzetta con il pavimento di cemento, un water bianco e vecchio e una doccia senza scaldabagno. Né tenda. E stava in cortile, a fianco alla stanza della donna delle pulizie. Aveva sentito che quella parte la chiamavano “la zona di servizio”. E quando gli toccava lavarsi lì, nella zona di servizio, Marito usava sempre ciabatte da doccia perché gli faceva schifo il pavimento sporco senza mattonelle dove ogni giorno si lavava niña Marina.

Quella mattina, il padre uscì presto dal bagno. Che sollievo: non avrebbe dovuto usare la latrina. E quando avvertì la pressione nella parte bassa della pancia che precedeva una cagata, il ragazzino si sedette sul gabinetto. Notò che il giornale di papà stava lì, proprio accanto alla carta igienica. E volle, per una volta, sentirsi come lui. Così iniziò a sfogliarlo mentre si sforzava. Vide un uomo investito, uno impiccato, due donne assassinate e un tale Richie Moreno, che annunciava un singolo estivo.

Ce l’aveva quasi fatta, quando, passata la pagina delle offerte di un negozio di elettrodomestici, si trovò davanti due grosse gambe stampate sulla carta. Capì: bisognava girare il giornale. Vide una tale Daysi Miller. Per un attimo, si perse negli occhi caffè, nella boccuccia rosea, nella mani che sostenevano due seni rotondi, grossi e sodi. Osservò i capelli che cadevano sulla vita e le gambe aperte. Non era nuda: le mutande bianche, che le stavano piccole, pensò il ragazzino, coprivano sotto la pancia. Marito smise di spingere: ebbe una diarrea improvvisa. Quella e un’erezione.

Mai prima di allora si era interessato ai quotidiani del papà. Qui ci sono solo morti, gli aveva detto. Mai gli aveva menzionato gli angeli. Angeli ben diversi da quelli della chiesetta della scuola. Da quel giorno, iniziò a conservare alcuni dei poster che uscivano sul giornale. Un ragazzino di quattro anni più grande un giorno gli disse che potevano venderli insieme. Che di un dollaro, a lui poteva dare 0,25 centesimi. Da allora, Marito trafugava, tutti i pomeriggi, i quotidiani che si accumulavano in una pila di mezzo metro nella stanza di niña Marina. Alcuni poster se li teneva, la maggior parte li vendeva nel cortile della scuola o alla colonia.

E così, Marito decise che, da grande, avrebbe voluto avere uno di quegli angeli, O tanti. Iniziò a pensare che, se avesse risparmiato abbastanza, avrebbe potuto comprarsene uno o tutti quelli che voleva. Perché, se stavano stampati sul giornale, pensava, allora si potevano trovare da qualche parte.

***

«Voglio vederti con le mutandine rosse, amore mio» le sussurrò Oscar nell’orecchio. Era sudato, appestava. E la cosa peggiore, è che era pesante. Doveva sentirsi così uno di quei sacchi che papà spostava al mercato, pensò Tamara.

Conosceva Oscar da quasi un anno. Quasi un anno che si era innamorata di lui e gli aveva consegnato il “suo tesorino”, come lo chiamava lui. Prima, gli incontri nella stanzetta sporca erano più frequenti. Ora, poteva vederlo solo due volte a settimana dopo l’uscita da scuola. Aveva ancora le cicatrici delle cinghiate che le aveva dato suo padre dopo che al mercato qualcuno gli aveva riferito di averla visto con il meccanico.

«Ma io quelle non ce l’ho» gli aveva detto lei. Cercava di avvinghiarsi a lui con le gambette pelose, rachitiche, piene di cicatrici. Lì, sul materassino sporco sul pavimento, lei si sentiva amata. Oscar era il suo uomo.

«Io ti regalerò un altro completino. E, questa volta, con le mutandine rosse» le disse lui, visibilmente eccitato. Non la stava penetrando, ma lei sentiva il rigonfiamento carnoso che si ingrossava dentro a boxer della Fruit of the loom. Lo stesso che le faceva tanto male quando stava dentro la patatina.

«Mi devi il cellulare con internet» gli disse lei.

«Ti darò tutti e due, amore mio» sussurrò Oscar. «Vieni, scopriti…»

E, dopo sette minuti di spintoni, sberle, morsi e tirate di capelli, Oscar finalmente le si levò da sopra. Lei, come al solito, aveva voglia di piangere. Lui si toccava il pisello umido.

«Fammi un favore» disse senza aprire gli occhi. «Portami il giornale che sta lì sul tavolo».

Lei si alzò, con fatica, dal materasso. Gli diede il giornale.

«Guarda, vorrei vederti così» le disse lui. Reggeva un poster aperto. Sopra c’era una ragazza che avrebbe potuto benissimo avere l’età di Tamara. Eccetto che per il suo corpo che non assomigliava affatto a quello della foto. A Tamara non erano mai cresciute le tette. Quella della foto le aveva grosse. Tamara non aveva fianchi e le sue gambe non erano lisce. Non aveva nemmeno mutandine rosse.

«Somiglia a te. Negli occhi, almeno. Per questo ti dico che ti regalerò delle mutandine rosse di quelle che vende niña Loly» disse lui. E, quando notò che Tamara era sul punto di mettersi a piangere, le disse, con un tono che voleva suonare amichevole ma che, in realtà, uscì come una minaccia «Nooo, dai, non piangere, bambina. Queste sono stupidaggini. Stai allegra, perché il tuo uomo ti vede nelle altre donne. Fammi un altro favore, attaccami questa bambola lì alla parete, guarda».

E Tamara prese dello scotch dal cassetto. Aprì il poster, che si era accartocciato sulla parte del petto della ragazza e lo attaccò accanto alle foto di altre donne simili. Lesse la casella di testo sotto a L’Angelo del giorno: Daysi Miller, diceva. Da allora, la ragazzina decise che avrebbe iniziato a usare mutandine rosse. Prima che Oscar gliele comprasse.

Tornò al materasso. Abbracciò Oscar con forza. Come se, con quell’abbraccio, facesse scomparire i diciannove anni di età che li separavano.

***

Aveva lasciato la casetta di lamiera con lo stesso timore di tutti i giorni: che il tetto, alla fine, decidesse di caderle sulla testa. Chiudeva sempre con la spranga di metallo, nonostante alcuni dei pali che formavano il recinto fossero quasi già a terra e chiunque avrebbe potuto saltare il filo spinato arrugginito che le dava una falsa sicurezza durante la notte.

Quella mattina era diversa. Si era alzata presto e aveva avuto un’idea mentre leggeva il giornale che il vicino le passava attraverso il tetto tutti i giorni. Non era che leggeva, perché dove c’erano titoli che annunciavano decapitati o quanti minuti ci avesse messo il tizio della foto a morire impiccato, lei vedeva solo macchie e sbavature. Ma le foto sì che le capiva. La distraevano.

E quella mattina, Dora aveva avuto un’idea brillante. Prese la pagina del giornale e la mise nella borsetta, accanto al portamonete della Madonnina e del cellulare da quindici dollari. Quella mattina, le pietre e il fango della strada non le sembravano affatto un ostacolo. Aveva piovuto la notte prima.

Arrivò al commissariato. «Ecco che arriva la niña Dora», disse un sergente dal fondo di un ufficio all’entrata del posto. Quando vide l’agente Peña, quello che la riceveva sempre al suo arrivo, tirò fuori il foglio. Era piegato in quattro, i due lati esterni mostravano offerte di elettrodomestici.

«Buongiorno, niña Dora. Cosa succede oggi?»

«Buongiorno, Sergente. Guardi, oggi è così presto ma vengo con una gran pena nel cuore»

«Ma no, madrecita, mi dica» disse Peña. Come se non sapesse cosa gli avrebbe detto la vecchietta con le trecce bianche.

«Volevo solo chiedere se sa già qualcosa di mia nipote» disse con un filo di voce.

Controllarsi era stata per Dora, un’odissea durata otto mesi. Fu finché un’altra nonna che stava al commissariato le disse che gli agenti non facevano caso alle vecchiette strillone. Che se voleva che la aiutassero a trovare la nipote doveva darsi una calmata. Che lei, dopo tre anni, aveva imparato a chiedere le cose con pazienza.

«Ancora no, madre. Ma mi creda stiamo facendo tutto il possibile. Abbiamo già il suo indirizzo e glielo abbiamo detto: per qualsiasi cosa, la chiameremo».

«È che, guardi, le ho portato una foto migliore. Forse così vi sarà più facile trovarla».

E Peña, che già sapeva a memoria tutte le fototessera, quelle del diploma, della prima comunione, della cresima e del compleanno di Zulma Reyes, la nipote scomparsa da nove mesi, pensò che non poteva essere così crudele con l’anziana. Non quella mattina, almeno.

«Dunque, signora. Mi faccia vedere. La attaccheremo sul tabellone. Ma solo per due giorni, abbiamo già abbastanza annunci da attaccare e tutti ne hanno diritto. Lei comprenderà».

Dora aprì un poster. Peña rimase in silenzio. Due agenti che stavano spazzando il commissariato rimasero a guardare le scena. La vecchietta di ottantasei anni teneva in mano una foto de L’Angelo del giorno. La ragazza della foto era figa, pensarono i due uomini. Sarebbero andati a comprare l’edizione di quella mattina. Gli spazzini non poterono evitarlo. Se ne andarono sul retro a ridere a crepapelle della vecchietta con la gonna lunga fino alle caviglie che faceva vedere una donna nuda a tutto il commissariato.

Peña si armò di coraggio.

«Guardi, niña Dora, lei sa che bisogna portare rispetto ai figli di Dio. E qui, noi, la rispettiamo. Non tireremmo fuori certe cose».

«No, signor poliziotto» disse Dora con la voce sempre più agitata. «Oggi è uscito questo sul giornale e, mi creda, mi sono sentita molto male a vedere così mia nipote» si giustificava singhiozzando. «Io le ho sempre detto che non era una ragazza facile. Sempre.»

«Signora, vada a trovare il pastore Tobar e gli parli di cosa ha appena fatto». Dora piangeva con forza. Era tornata a essere la stessa anziana angustiata che era venuta a denunciare la scomparsa nove mesi prima. Peña le tolse il poster dalle mani e lo piegò di nuovo in quattro. Mise le mani sulle spalle dell’anziana e la invitò a uscire dal commissariato.

«Mi aiuti, signor agente, mi aiuti. Forse me l’hanno già uccisa la mia bambina. Mi aiuti, la prego» diceva urlando. Altre madri che, in qualche momento, si erano trovate nella stessa situazione ma che, adesso, si limitavano a sospirare con gli occhi gonfi la guardavano da una panca sul punto di cedere per il peso. La sostenevano nel silenzio. Dora svenne.

Gli spazzini presero il poster a Peña. Si ammazzavano dalle risate. «Vecchia sporcacciona, va. Oltre che matta, pure sporcacciona» dissero. Peña tolse l’annuncio di un uomo scomparso dalla lavagna di sughero dell’ufficio. Usò la puntina per fissare il poster di Daysi Miller. «Adesso le trovano proprio giovani, dai» disse.

***

Tre detenuti in regime di semilibertà pranzano all’ombra di un mandorlo. I militari hanno permesso che solo le donne che vendono i pasti possano attraversare la zona transennata. Nessun’altro può passare.

Oggi c’è del pollo stufato. Ossa stufate, pensano i tre. È mezzogiorno e il caldo sembra sciogliere tutto quello che trova fuori dal perimetro dell’ombra. Hanno 45 minuti per cercare carne tra le vertebre da mangiare insieme alle due tortillas imbrattate di salsa. Loro non lo sanno, ma quelle ossa fanno di loro i più fortunati. I militari non hanno mangiato niente in tutto il giorno.

Uno di loro tira fuori il giornale. «Guarda questa mami, toh», dice. I tre ridono. Quattro gocce di salsa macchiano il poster dell’edizione L’Angelo del giorno. I tre uomini la guardano in silenzio.

«E da dove le tireranno fuori queste bambolone, secondo te?»

«Da internet, no? Così scemo sei?»

«Ma io dico per non confondersi, insomma. Immagina che prendono la stessa della settimana prima. Io non vorrei stare a farmi una sega con una faccetta già conosciuta».

I tre ridono, senza troppa voglia. Il vento si muove tra le file di alberi del canale di fronte. Una pattuglia scorta i giudici e i forensi che lavorano al caso. Vanno al centro del paese, a cercare qualcosa da mangiare. Loro non mangiano ossa.

«Ma questa ragazza è veramente giovane. Io mi ricordo che ce n’era una così al mio paese. Molto giovane ma parecchio vivace»

«Se è maggiorenne mica è reato, tu ricordatelo»

E i tre annuiscono allo stesso tempo, mentre mandano giù le ossa di pollo con un succo di mirto fermentato.

«Pensi che qualcuna di quelle che stiamo tirando fuori da qua era così?»

«No, macché» risponde uno, il più vecchio. «Non vedi che quelle sono modelle, donne vere. Queste vecchie fregne bollenti che stiamo trovando in questi buchi non hanno niente a che vedere».

«Se ti sentissero le femministe» dice il più giovane, quello che passa più tempo sui social col suo pacchetto dati da due dollari.

«È vero. Sai bene che chi inizia male, finisce peggio. A chi tocca, tocca» risponde il più vecchio.

Una donna in abiti formali si avvicina al gruppo di detenuti. Quando vedono la dottoressa, come la chiamano loro, piegano la foto di Daysi Miller. La presenza di quella donna fasciata nella gonna a sigaretta e calze risveglia in loro una sensazione che poche volte hanno provato in vita loro: vergogna.

«Com’è andata oggi signori?»

«Bene, dottoressa, grazie a Dio. Dice il dottore che, solo oggi, ne ha tirate fuori sette. Che, la maggior parte, sono ragazzine».

«D’accordo. Riposatevi un momento». E, prima di andarsene, gli ricordò: «Ricordiamoci solo che non possiamo dire nulla né alla stampa né alla gente che passa. Se le chiedono qualcosa, lei non ha visto nulla. Se insistono, già lo sapete». Indicò i militari che presidiavano l’area. «Buon appetito. Con permesso».

I tre rispondono con un «grazie, altrettanto». Continuano a cercare tra le ossa. Per loro, non c’è differenza tra quelle di pollo e quelli di bambina: la tecnica è diversa ma, alla fine, le ossa sono ossa. Quarantacinque minuti rovistando in un piatto di cibo non sono molto diverse da otto rovistando in una fossa clandestina, pensa uno di loro.

«Bene, vado a fare un pisolino. Vediamo se mi appare una di quelle, anche se in sogno» dice uno.

I tre se la ridono di gusto. Il vento sussurra nel canale, come se avvertisse che, lì, nessuno era benvenuto. Che, in realtà, nessuno, mai, è stato benvenuto in quella zona. Rimane ancora metà giornata.


© Revista Carátula | 2022

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Daysi Miller di Michelle Recinos (español)

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